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La Signoria, I MIlle e i Personaggi Illustri di Bivona

La signoria di Bivona

Ugone Talach: Nobile e fu signore di Bivona proprietario del castello di Bivona e giustiziere di Val di Mazara fu molto importante e in vista nell’amministrazione della Sicilia al tempo della guerra del vespro e convinse i palermitani ad accogliere Pietro III d’Aragona. Morì nel 1308.

I Chiaramonte: Fu un antica famiglia siciliana molto potente nei XIV sec edificarono molte chiese palazzi e castelli, anche a Bivona come l’antica chiesa chiaramontana dove si conserva solo l’antico portare Arabo Chiaramontano. Dopo essersi schierati con gli Angioini contro re Ludovico D’Aragona persero la guerra e Bivona fu messa a sacco da Francesco Ventimiglia, tentarono di conquistare il castello, lasciato in custodia a Claudio Doria ma furono nuovamente sconfitti così lasciarono definitivamente il paese.
Francesco Ventimiglia: Della casata dei Ventimiglia e Conte di Geraci mise a sacco Bivona dopo che i Chiaramonte si schierarono con gli Angioini contro il re Ludovico D’Aragona. 


Corrado Doria: Fu signore di Bivona nel 1360 il quale succedette il figlio Antonello.

Manfredi III Chiaramonte : Signore di Bivona nel 1374 ed ebbe l’investitura della contea di Modica e possedeva due castelli uno a Palma di Montechiaro e un altro a Modica. succedette alla morte di Antonello Doria dopo che la signoria di Palermo ripassò ai Chiaramonte.

Andrea Chiaramonte: Successore di Manfredi III fu l’ultimo dei Chiaramonte a governare Bivona, alla ribellione contro il re Martino di Sicilia fu sconfitto e decapitato assieme alla sua famiglia il 1 giugno 1392 a Palermo davanti al palazzo Steri e i beni furono confiscati e divisi tra i Moncada e i Cabrera.


Niccolo Peralta: fu Signore di Bivona e Conte di Caltabellotta, Caltanissetta, e Sclafani e marchese di Mazara. Ebbe tre figlie una di queste Maria andò in sposa a Martino I di Sicilia, Quando la regina Maria abolì alcuni privilegi baroniali si alleò con il cognato Andrea Chiaramonte contro i sovrani. Sconfitto nel 1394 gli fu confiscato tutti i suoi beni riappacificatosi nel 1397 con il re Martino, costui gli concesse le cariche di castellano e maestro giustiziere. Mori a Sciacca due anni dopo.

Margherita Peralta: Secondogenita di Niccolo Peralta, sposò Artale De Luna che mori nel 1421 in Corsica contro la repressione dei ribelli, qualche anno dopo Margherita si risposò con Antonio Cardona.

Antonio De Luna: Figlio primogenito tra Margherita Peralta e Artale De Luna divenne presto un personaggio di rilievo nell’ambito della nobiltà siciliana: fu inviato più volte come ambasciatore a re e a papi. Nel 1453 ricevette l’investitura della baronia di Bivona e di altri beni feudali. Ebbe dal re Alfonso la concessione della castellania di Sciacca; dava cioè il massimo onore oltre il diritto di dimora nel Castello Vecchio. Il 6 aprile 1455 Antonio De Luna stava partecipando alla processione della Santa Spina di Cristo a Sciacca, giunto dinanzi al palazzo dei Perollo, il Luna insultò il rivale pubblicamente, forse convinto che non venisse ascoltato vedendo le finestre chiuse. Le imposte s’aprirono improvvisamente e Pietro Perollo, barone di Pandolfina, raggiunse il corteo ferendo il rivale. I suoi uomini incendiarono le case dei Luna, portarono lo scompiglio tra i fedeli e si rifugiarono nel castello di Geraci. Antonio Luna scatenò la sua vendetta, facendo assassinare familiari e parenti dei Perollo, distruggendo le loro case, e persino la città subì gravi danni. , e furono esiliati da re Alfonso. Questo episodio fu noto come il primo caso di Sciacca. Antonio con la sua famiglia si ritirò in Roma e poi graziati nel 1459 da re Giovanni. Antonio si sposò con la figlia del viceré Antonio Incardona ebbe tre figli: Pietro Arcivescovo di Messina, Carlo che morì senza eredi e Sigismondo.

Sigsmondo De Luna: Figlio di Antonio De Luna Figlio di Antonio, sposò Beatrice Spatafora Contessa di Sclafani. Sigismondo de Luna (ottenne dal re Giovanni d’Aragona il titolo di Camerlengo, nel 1474 fu nominato Maestro Secreto con diritto di giurisdizione su tutti gli Ebrei di Sicilia e nel 1475 Maestro Portulano, entrambe prestigiosissime cariche del Regno di Sicilia), in condizione economiche precarie, fu costretto a vendere, ma con riserva di riscatto, la terra di Bivona al fratello Pietro, che aveva indossato l’abito ecclesiastico. Pietro de Luna per un anno fu Signore di Bivona, poi il titolo passò nuovamente a Sigismondo.

Gianvincenzo De Luna: figlio di Sigsmondo De Luna fu conte di Sclafani era un uomo violento nel 1505 per un mese intero cerco di penetrare nel Castello di Caltavutro dove sua madre Beatrice Spatafora si era rifugiata per sfuggire alla sua ira, per calmarlo dovette intervenire il Vicerè. Gianvincenzo De Luna sposò Diana Montecateno o Moncada ed ebbe Sigsmondo II. Mori a Bivona nel 1547 e sepolto a Sciacca nella chiesa della Badia Grande in una cassa ricamata ancora visibile.

Sigsmondo II De Luna: Fu conte di Caltabellotta e di Sclafani sposò Luisa Salviati, figlia di Jacopo Salviati e Lucrezia de’ Medici, nipote dell’allora pontefice Leone X famoso anche per il Secondo Caso Di Sciacca che nel 1523 in quel periodo esplose violentemente la lotta tra i Luna e i Perollo, entrambe tra le famiglie più potenti del Val di Mazara. Il primo scontro tra le due fazioni si ebbe nella strada che da Bivona conduceva a Sciacca (la principale città in cui esercitavano il potere i Perollo): una trentina di bravacci del conte Luna si scontrò con una schiera di armigeri del Perollo; i bravi, nonostante l'agguato teso dagli armigeri, riuscirono a raggiungere Sciacca. Il numero degli uomini del conte Luna diventò notevole, e pertanto l'arciprete di Sciacca don Gabriele Salvo cercò di fare da paciere tra le due famiglie. Ma la pace non durò a lungo: in seguito ad uno smacco subito da Sigismondo, la situazione peggiorò notevolmente. Il conte Gian Vincenzo de Luna tentò di uccidere Giacomo Perollo, il peggior nemico dei Luna, ma non vi riuscì.                             Il 19giugno 1529 Sigismondo fece introdurre furtivamente a Sciacca circa cento armati: alcuni giorni dopo la morte di due armigeri del Perollo rivelò la numerosa presenza di uomini dei Luna. Giacomo Perollo si rivolse al viceré Pignatelli, suo amico, che da Messina inviò a Sciacca Geronimo Statella (barone di Mongerbino) con una compagnia di fanti. Statella, una volta giunto a Sciacca, ordinò a Sigismondo de Luna di sciogliere le sue truppe e di allontanarsi dalla città. Il 16 luglio lo Statella, passando da Bivona, fece impiccare Giorgio Grasta con altri 19 uomini, tutti bravi del conte Luna, in una località prossima al paese: tuttora questo luogo si chiama Cozzu di li furchi. Ciò causò l'insurrezione dei bivonesi contro lo Statella, che fu costretto a tornarsene a Sciacca. All'imbrunire del 19 luglio il conte Luna entrò in Sciacca con i suoi uomini, fece circondare le abitazioni del Perollo e dello Statella e, all'alba, ordinò l'attacco. Giorgio Comito, capo di una banda assoldata dal Luna, uccise Geronimo Statella. Il 23 luglio il conte Luna e i suoi uomini fecero irruzione nel castello dei Perollo e uccisero tutti coloro che trovarono. Giacomo Perollo, che inizialmente era riuscito a fuggire e a nascondersi in una casa privata, fu tradito: egli venne ucciso da Calogero Calandrino. Ma Sigismondo, non pago della morte dell'avversario, commise un atto poco umano: legò il cadavere del Perollo alla coda di un cavallo e lo fece portare in giro per tutta la città. Il conte Luna, compiuta la vendetta, si ritirò a Bivona. Federico Perollo, figlio di Giacomo, con un contingente di truppe affidatogli da Pignatelli, con alcuni uomini armati inviatigli dal Marchese di Geraci, con le truppe di Nicolò Pollastra e Giovanni Riganti (Giudici della Gran Corte Criminale), partì alla volta di Bivona. Ma il Sigismondo decise di fuggire: il 13 agosto, insieme con la moglie e i figli, salpò alla volta di Roma. Il Perollo, giunto a Bivona e non avendo trovato il conte Luna, fece compiere una vera e propria razzia: molti furono impiccati, altri squartati, altri ancora cacciati in esilio; alcuni vennero posti nelle carceri e il castello venne spogliato dei preziosi arredi e dei nobili utensili. Bivona venne saccheggiata del tutto.Nel frattempo Sigismondo, condannato a morte e confiscato dei propri beni, arrivò a Roma presso lo zio pontefice Clemente VII per ottenere il perdono del re Carlo V: il perdono non fu ottenuto e Sigismondo, avvilito, si suicidò buttandosi nel Tevere. Era il febbraio del 1530.

Pietro De Luna: figlio di Sigsmondo, nacque nel 1520 e nel 1554 quando Bivona si elevò a Ducato gli ebbe il titolo di primo barone di Bivona. Egli riottenne l’investitura di un gran numero di feudi ceduti o alienati dai suoi predecessori aiutato dal suocero Giovanni de Vega vicerè di Sicilia. Pietro con la moglie Isabella de Vega si trasferì a Bivona ed edificò il palazzo che successivamente prese il nome di Palazzo Ducale. Infatti il 22 maggio 1554 ad opera di Carlo V elevò la baronia di Bivona alla dignità di Ducato, il paese era uno dei più popolosi di quelli appartenente ai De Luna e assunse il titolo di città e Pietro De Luna fu il primo fra i nobili siciliani ad acquisire il titolo di Duca. La moglie Isabella si interesso molto della religione cattolica a Bivona, ella chiese a Ignazio di Layola l’istituzione del collegio dei gesuiti i Bivona.

Ignazio di Layola: nacque in Spagna nel 1491 fu fondatore della compagnia di Gesù (gesuiti) fu scelto da Isabella de Vega moglie di Pietro De Luna come suo direttore spirituale e con lei si intraprese una fitta ed interessante corrispondenza epistolare, pertanto essa lo prego di far sorgere a Bivona un collegio gesuita dicendo che doveva diventare dopo quello di Palermo e Messina, il piu importante del Regno. Ma la fondazione del collegio era impedita dallo stesso Ignazio ad istituire collegi in piccole città ma il problema venne risolto grazie all’insistenza della stessa duchessa e nel 1553 ottennero l’assenso. La prima pietra del collegio venne posta il 21 maggio 1554. E a tenere informato Ignazio di Layola fu padre Domenech che gli invio molte lettere positive su Bivona e i suoi abitanti. Alla fine nel 1555 Ignazio di Layola decise di inviare nove gesuiti a Bivona tra questi Eleuterio Du Pont, nato a Lilla nel 1527 e primo rettore del collegio bivonese. Il collegio gesuita di Bivona fu il primo collegio in Italia ad essere stato fondato in una piccola città i progetti e le piante del collegio gesuita di Bivona sono conservate e reperibili presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Ignazio di Layola nel 1622 fu proclamato santo.

Aloisa De Luna: Figlia di Pietro De Luna ereditò dal fratello Giovanni tutti i suoi stati e beni perché egli non ebbe figli alla morte del fratello nel 1592, Aloisa De Luna assunse l’investitura della Ducea di Bivona, delle contee di Caltabellotta e Sclafani, delle baronie di Caltavuturo e Castellamare del Golfo e altri numerosi feudi. Aloisa sposò Cesare Moncada, principe di Paternò rimase vedova e sposò in seconde nozze Antonio d’Aragona 4° duca di Montalto, Conte di Golisano anche’esso vedovo. Aloisa era una persona di forte personalità e di un forte potere di comando fece introdurre i gesuiti in Sicilia e fece costruire moltissime chiese e grazie alla duchessa Aloisa e con l’introduzione dei gesuiti Bivona divenne il centro culturale piu importante della provincia. L’eredità di Aloisa data la prematura scomparsa del figlio Francesco Moncada venne conseguita dal nipote Antonio Moncada, figlio di Francesco e nipote di Cesare nel 1620.

Antonio Moncada: Divenne Duca di Bivona il 18 novembre 1621 e nel 1623 fu Governatore della Compagnia della Pace, a Palermo sposò Giovanna della Cerda, figlia del duca di Medinaceli, ed ebbero sette figli e nel 1627 fu il figlio primogenito, Luigi Guglielmo a riceve l’investitura degli stati paterni dato che i padre divenuto sacerdote entrò nella compagnia di Gesù.

Luigi Guglielmo di Moncada: sposo Maria Afan di Ribera, ed in seconde nozze Caterina di Moncada e di Castro, da cui ebbe il figlio Ferdinando. Luigi Gugliemo fu un personaggio di rilievo: Presidente del Regno dal 1635 al 1637 fu Vicerè di Sardegna nel 1647 Vicerè di Valenza nel 1657 ebbe l’Ordine di Toson, Commendatore di Belvis della Sierra, tre volte Grande di Spagna, Generale della Cavalleria del Regno di Napoli e Maggiordomo Maggiore di re Carlo, infine nel 1667 divenuto vedovo fu nominato Cardinale. Nonostante le condizioni critiche del feudi di Principe di Paternò erano critiche alla morte gli succedette il figlio Ferdinando che sposò Maria Teresa Faxardo Toledo di Portugal. La loro figlia Caterina, nel 1713 alla morte del padre raccolse l’eredità paterna: ella era gia sposata con Giuseppe Federico Alvarez de Toledo, duca di Ferrandina e marchese di Villafranca.

Federico Vincenzo Alvarez de Toledo: Fu Duca di Bivona figlio di Giuseppe Federico e di Caterina Moncada, gli eredi tutti ricchissimi feudatari spagnoli non entrarono mai negli affari di Bivona e così il paese cadde in una fase di declino egli morì a Madrid nel 1753 e il ducato passò al figlio Antonio. Il suo figlio ed erede universale fu Giuseppe Alvarez de Toledo che dalla moglie Maria Teresa Cayatela de Silva non ebbe figli alla sua morte avvenuta in Siviglia nel 1796 gli succedette il fratello Francesco.

Francesco Borgia Alvarez de Toledo: nato e morto a Madrid (1763-1821), fu l’ultimo duca di Bivona che esercitò la signoria feudale su Bivona. Nel 1812, in Sicilia fu abolità la feudalità.

I Garibaldini a Bivona

I mille e Bivona

Il 15 maggio 1860 a Bivona si sparse la notizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala e i liberali bivonesi favorevoli all’unificazione d’Italia provocarono un insurrezione del popolo.
Il distretto di Bivona divenne in poco tempo uno dei più disordinati e pericolosi, infatti era l’unico a non godere di una protezione di compagnia d’arme e ciò favorì furti e taglieggiamenti da parte di numerosi gruppi armati. Il 12 giugno a Bivona si insediarono il consiglio civico ed il magistato municipale, entrambi organismi amministrativi e favorevoli all’indipendenza dell’Unità.

Menotti Garibaldi: fece sosta a Bivona il 4 giugno per cercare di arruolare alcune persone.


Nino Bixio: L’8 giugno l’intera colonna comandata dal generale Nino Bixio fece sosta a Bivona e si incontrò con Menotti Garibaldi in cui i due ebbero uno scontro con il barone Onofrio Guggino, lo stesso Bixio in una lettera scrisse: « [a Bivona] la pazienza, quella grande virtù dell'asino, è stata messa a dura prova. ».

Il 2 agosto Garibaldi ripartì in tre colonne i 3.000 volontari giunti alla Ficuzza e li incaricò di raccogliere nuove adesioni nel resto dell'Isola: i tre gruppi seguirono itinerari diversi, e in poco tempo avvennero i primi scontri con l'esercito. La colonna garibaldina che percorse il tratto più meridionale della Sicilia, comandata dal colonnello Giuseppe Bentivegna e costituita da circa 1.000 uomini, partì da Corleone il 3 agosto e tre giorni dopo raggiunse Santo Stefano di Bivona (l'attuale Santo Stefano Quisquina, a qualche chilometro da Bivona). La colonna fece sosta in paese, ma ciò le fu fatale: infatti furono inviati dalla sottoprefettura di Bivona, tra soldati e carabinieri, più di sessanta uomini armati che provocarono un conflitto a fuoco con i garibaldini, costretti a desistere dal loro tentativo di arruolamento di nuovi volontari.
Gli uomini di Garibaldi avevano riportato qualche morto e chiesero invano la restituzione dei fucili che vennero loro sequestrati; furono costretti ad andare via da Santo Stefano, e dopo essere passati da Casteltermini, abbandonarono il loro viaggio nella Sicilia meridionale e si incontrarono con Giuseppe Garibaldi a Santa Caterina Villarmosa. La prefettura di Girgenti giustificò l'accaduto, malvisto dalle autorità di Palermo, dicendo che Bivona non disponeva di nessun ufficio telegrafico e che, per tale motivo, non era a conoscenza delle disposizioni del Governo. Il giornalista e scrittore Franco Mistrali commentò l'accaduto con queste parole:

« Il primo sangue era versato. Mani cittadine armate, contro mani cittadine armate avevano combattuto. Italiani contro Italiani. »

Personalità legate a Bivona


Antonio Veneziano (Monreale 7 gennaio 1543 – Palermo 19 Agosto 1593) fu un poeta che compose prevalentemente in lingua siciliana studiò nel collegio dei gesuiti e visse qualche anno a Bivona.

Giuseppe Salerno (Ganci 1588 – Ganci 1630) meglio conosciuto come lo Zoppo di Ganci dovette rifugiarsi in alcuni conventi dei cappuccini tra questi anche a Bivona dove pagò la sua protezione con le proprie opere, Bivona ne conserva due.


Maria Roccaforte (Bivona 5 novembre 1597 – Bivona 30 agosto 1648) nel 1614. A 17 anni, entrò nel monastero benedettino di Bivona vestendo l’abito delle monache terziarie dell’Ordine di San Benedetto, nonostante la sua estrema bellezza fosse ambita da molti in sposa, fu molto considerata dalle persone a causa delle molte visioni che ebbe tra le quali le visioni della vita di Santa Rosalia tali visioni vennero narrate dalla monaca al suo padre spirituale Francesco Sparacino, che le raccolse in un libro intitolato Vita della gloriosa Santa Rosalia. Maria Roccaforte morì il 30 agosto del 1648 in fama di santità, è serva proclamata serva di Dio.






Bernardo da Corleone: (Corleone 6 febbraio 1605 – Palermo 12 gennaio 1667) al secolo Filippo Latino, vestì l’abito cappuccino a seguito di una conversione legata ad un precedente duello con un certo Vito Canino. Durante il soggiorno a Bivona molti frati furon
o colpiti da una epidemia di influenza anche frate Bernardo in quel momento rivestiva l’ufficio di infermiere, si ammalò riducendosi in fin di vita, stacco dal tabernacolo della chiesa la statuetta di San Francesco e la infilò nella manica del saio, rivolgendosi al santo con le seguenti parole : 
« Serafico padre, tu lo sai che i tuoi frati di Bivona sono ammalati... chi si prenderà cura di essi? Ti avverto che non uscirai di qui se non quando mi avrai guarito »
Il giorno successivo, Bernardo tornò in salute e potè riprendere l’assistenza ai suoi confratelli.
Sempre a Bivona, a Bernardo un crocifisso avrebbe parlato dicendogli: "Non cercare tanti libri, ti bastano le mie piaghe per leggere e meditare". Dopo quest'episodio il frate rinunciò al desiderio di imparare a leggere. Morì a Palermo nel convento dei frati cappuccini, è stato canonizzato da Papa Giovanni paolo II il 10 luglio 2001. A Bivona nel convento dei cappuccini è visitabile la celletta dove abitò per un po di anni.


Damaso Pio De Bono: (Bivona 23 ottobre 1850 – Bivona 14 novembre 1927) Già arciprete della chiesa madre di Bivona fu eletto vescovo di Caltagirone il 11 dicembre 1889 tenne la diocesi per 27 anni fino a quando si dimise per avanzata età. Fù legato da una grande amicizia con don Luigi Sturzo. Quando nel 1898, Damaso Pio De Bono venne ordinato vescovo, Luigi Sturzo organizzò in suo onore un corteo con le carrozze che da Santo Stefano Quisquina portava a Bivona, in modo che il bivonese De Bono potesse festeggiare e salutare la sua comunità. Nel periodo che va dalla nomina di Damaso Pio De Bono a vescovo di Caltagirone fino alla sua morte, fu fitta la corrispondenza epistolare tra il bivonese e Luigi Sturzo grazie all'amicizia che legava i due, numerosa gente di Bivona (compresa la società operaia bivonese) ebbe l'opportunità di comunicare direttamente con Sturzo, che nel 1919 fondò il Partito Popolare Italiano, influendo sulle sorti dell'intera Italia Nel 1927, tornato nella sua Bivona, morì e le sue spoglie furono trasferite nella nuova chiesa madre, da lui stesso restaurata durante il ventennio in cui ne fu arciprete.

Antonino Trizzino: (Bivona 1899-1973) Giornalista oltre che pilota della Regia aeronautica, la sua carriera militare termino bruscamente nel 1938 inventore di un dispositivo che lanciava missili, ebbe uno scontro con i vertici dell’aeronautica in merito alla paternità dell’invenzione. Fu processato ed espulso. Durante la seconda guerra mondiale scrisse per “Il Tempo” e “Il Tevere” . Scrisse diversi libri come “Navi e Poltrone” e “Settebre Nero”.

Cesare Sermenghi: (Terralba 25 Ottobre 1918 – Verdello 13 Luglio 1997) Si trasferì a Bivona all’età di sette anni,terra della madre, fin da bambino ebbe un forte interesse per l’arte e la sua prima opera fu una sculture in argilla che raffigurava Sant’Antonio. Prese l’abilitazione magistrale a Palermo, operò nella formazione partigiana 66° brigata di Bologna, dopo un po di anni si sposò ed ebbe due figlie. Si trasferì in Sicilia dove fece il cancelliere in pretura. Fondò a Bivona il “Pegaso”, un centro culturale e divenne un punto di incontro di numerosi artisti quale: Leonardo Sciascia; Renato Guttuso e Ugo Attardi e anche cantautori quali Rosa Balistreri e Dario Fo. Sermenghi scrisse commedie; poesie e anche saggi. A Bivona gli è stato dedicato un monumento sulla Villa Comunale.

Carmelo Cammarata: (17 aprile 1924 – Bivona 27 marzo 1999) Ha svolto il mestiere di contadino e nel tempo libero si dilettava a dipingere pareti delle abitazioni prese in affitto ma acquisì una particolare passione per la scultura, prima in gesso e poi su marmi o legni, operava in un laboratorio da lui stesso costruito, una piccola casa di pochi metri quadri, molto visitata da artisti del territorio siciliamo. Fondò assieme a Cesare Sermenghi “Il Pegaso”. La sua bottega è visitabile “Casa Museo” dove all’interno ci sono le opere dello scultore.

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